Banche italiane: una situazione positiva, ma instabile

A quanto pare, la situazione delle banche italiane non è poi così negativa come tutti crediamo. Le sofferenze infatti di cui le banche italiane hanno sofferto sembrano essersi almeno in parte risanate, con un calo del 21%, da 360 a 284 miliardi nel lasso di tempo 2015-2017. Si tratta di un calo di ben 76 miliardi, di certo quindi non pochi spiccioli che non hanno alcuna importanza, di un calo insomma di cui dobbiamo andare davvero molto fieri.

Riuscire in questa impresa non è stato semplice ovviamente per le aziende bancarie del nostro paese. C’è stato bisogno infatti di effettuare ricapitalizzazione per ben 50 miliardi, con l’obiettivo di riuscire a coprire in modo eccellente le perdite causate dalle rettifiche sui crediti deteriorati, e c’è stato bisogno anche di alzare i tassi di copertura di questi prestiti. Un contesto di cambiamento, di svolta, che ha consentito al sistema bancario italiano di ritrovare finalmente la strada della redditività, una strada che tutti credevamo perduta. Le banche italiane insomma sono tornate a poter produrre utili.

Questi dati arrivano direttamente dal report redatto dalla FABI, che parla però anche del peso intenso di asset finanziari ad elevato rischio per i colossi europei. A breve avrà luogo un Consiglio Europeo in cui si prenderà in considerazione la possibilità di una nuova stretta normativa nell’ambito della pulizia dei bilanci per le aziende creditizie, proposta che è stata avanzata dalla Germania e dalla Francia. Per alcuni paesi questa stretta normativa potrebbe effettivamente portare delle novità davvero molto interessanti, delle vere e proprie svolte, ma non per l’Italia, né per le banche del Sud Europa. I rischi sono connessi ai livelli di npl, doppi attualmente rispetto alle sollecitazioni che la normativa invece vorrebbe imporre.

Ma non è tutto, c’è a quanto pare un altro rischio all’orizzonte per le banche italiane. Le banche italiane infatti presentano rischi di mercato meno intensi rispetto alle strutture di altri paesi europei. Prendiamo ad esempio il trading finanziario che in Italia ha un peso sugli attivi di appena il 6%, contro percentuali nettamente più elevate negli altri paesi, come il 18% in Francia, il 19% in Germania, il 23% in Inghilterra. Alla luce di queste considerazioni, sembra che le banche italiane corrano il rischio di diventare una preda allettante per i gruppi stranieri. Già adesso sono presenti fondi stranieri per una percentuale del 60%. Se sulle banche italiane dovessero arrivare le grinfie dei gruppi stranieri, ecco che smetterebbero di esistere così come noi oggi le conosciamo e diventerebbe parte integrante di qualche banca europea.

Sembra che i regolatori non prendano in considerazione questo rischio, o che non vogliano prenderlo in considerazione. Si concentrano solo sui npl, ma si tratta di un atteggiamento penalizzante nei confronti delle banche italiane che si concentrano su un business di tipo tradizionale, nei confronti di banche che proprio adesso stanno vivendo un periodo roseo di rinnovata redditività e che potrebbero perdere invece in un solo momento tutto quello che sono riuscite con tanta fatica, tempo e dedizione a costruire nel corso degli anni.

A cura della redazione di Banca Magazine

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